Dopo la fiducia di Camera  e Senato,  il governo alla prova dei fatti

Il discorso di insediamento della Meloni tra gli applausi dalla maggioranza e la freddezza dell’opposizione

La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, alla Camera dei Deputati (Foto: Presidenza del Consiglio dei ministri)

“Sarà un esecutivo di alto spessore”, ebbe a dichiarare Giorgia Meloni, aggiungendo la necessità di “fare presto” a scegliere i nomi, in un incontro con i vertici di FdI per valutare gli sviluppi della situazione dopo la vittoria elettorale del centro-destra e in particolare del suo partito.
Alla luce dei fatti, elenco dei ministri alla mano, si ha l’impressione che qualità e fretta nel fare le cose non vadano poi tanto d’accordo. Lo dice l’età media dei ministri, la loro presenza in precedenti governi Berlusconi, per alcuni il dubbio di conflitti di interesse, per altri la loro presenza nel governo Draghi, la scarsa presenza di donne.

L’intervento della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, alla Camera per la richiesta di fiducia al Governo (Foto: Presidenza del Consiglio dei ministri)

Di certo c’è solo che quello che ha giurato domenica scorsa al Quirinale è il governo della Meloni, la prima donna ad occupare la carica di presidente del Consiglio nella breve storia della Repubblica italiana. Lo si nota dalla presenza di uomini di sua fiducia nei posti chiave e da certe assenze derivate, a detta di tutti, da netti rifiuti opposti a certe richieste dei suoi alleati (?).
Per il momento, dopo l’agitazione dei primi giorni di trattative, Salvini e Berlusconi hanno ingoiato il rospo ma sarà impegno del presidente del Consiglio dimostrare la bontà delle sue scelte e tale dimostrazione non potrà derivare se non dai risultati, tenendo conto che anche per questi, come per la formazione del governo di cui sopra, la prima necessità dovrebbe essere quella della celerità.
Lo impongono la situazione in cui versa il Paese reale e i proclami di grandi interventi per migliorare la stessa. Sembra averlo capito anche Salvini, che già nella giornata di lunedì ha riunito i “suoi ministri” per definire le strategie da seguire sui temi cari alla Lega; da vedere se sarà una semplice esercitazione destinata a rimanere tale o se l’iniziativa prenderà campo e potrà essere imitata da Forza Italia.

Il Presidente della Repubblica Mattarella con la Presidente del Consiglio Meloni, in occasione del giuramento del governo.
(Foto Paolo Giandotti – Ufficio Stampa Presidenza della Repubblica)

Il rischio è che coloro che hanno votato Meloni sulla base della promessa di cambiamenti epocali debbano accontentarsi di decisioni di facciata, a cominciare dal cambio dei nomi di alcuni ministeri, una iniziativa non nuova ma che non ha mai portato, di per sé, a cambiamenti significativi negli interventi relativi ai settori da essi controllati. Uno per tutti è il Ministero della Pubblica Istruzione, che dal 1944 ad oggi ha cambiato più volte il nome senza che la scuola ne abbia tratto grandi benefici.
Intanto gli elettori del centro-destra devono accontentarsi di vedere la leader di FdI a colloquio con Draghi (magari per avere qualche informazione di prima mano sugli ultimi sviluppi internazionali) e poi con Macron, che tutto potrà essere ma non “amico” della destra, visti i suoi scontri in patria con Marine Le Pen. Una conferma di tutto ciò si è avuta martedì mattina con il discorso pronunciato alla Camera dei Deputati per la votazione della fiducia.
Come accade sempre in questi casi, la Meloni ha fatto una panoramica a 360° dei problemi attuali che mettono in difficoltà il Paese e dei nodi storici legati alle sue radici politiche. Per entrambi gli ambiti i pronunciamenti sono stati generici: più un elenco di problemi che di suggerimenti concreti per risolverli. Studiate ad arte per provare a farle piacere a tutti le dichiarazioni sui totalitarismi ed altre simili; dichiarazioni d’intenti sui temi scottanti, frasi di circostanza sulla bellezza dell’Italia e la sua capacità di primeggiare laddove ci sia la volontà di farlo e una guida adeguata.
Classifica di importanza per i temi presentati nel programma elettorale: ora in testa ci sono i costi energetici, per il resto si dovranno aspettare tempi migliori. A parte queste ultime dichiarazioni, un discorso che ha senz’altro entusiasmato i deputati di maggioranza, con applausi e standing ovation che hanno fatto dire alla Meloni: “Se andiamo vanti così, finiamo alle due”.
Molto più freddi i rappresentanti dell’opposizione, che si sono uniti agli applausi solo in riferimento ai passaggi davvero super partes. Detto tutto ciò, non ci piace per niente l’idea, già sostenuta da molti del “lasciamoli governare…”: l’abbiamo sperimentata con la prima ondata del centro-destra a guida Berlusconi e abbiamo visto come è andata, non ci sembra il caso di rilasciare nuove cambiali in bianco ad una formazione di destra-centro.
Più che lecito (ma pensiamo che la stessa Meloni, non debuttante in politica, se lo aspetti), giudicare l’iter che ha portato alla formazione del governo (magari a partire dalle scaramucce per l’elezione dei presidenti delle due Camere, fino agli appunti e alle registrazioni “sfuggite” al controllo del leader di Forza Italia).
E soprattutto valutare con attenzione le mosse che il governo metterà in campo a partire da quando potrà agire nel pieno delle sue funzioni.

Antonio Ricci