Una notizia che ha sconvolto gli amanti della letteratura: lo scorso 11 settembre è scomparso lo scrittore Javier Marias. Tra i maggiori autori spagnoli contemporanei, era nato a Madrid il 20 settembre del 1951. Laureato in filosofia ha raggiunto il successo internazionale nel 1992 con “Un cuore così bianco”, cui seguono opere come “Quando fui mortale”, “L’uomo sentimentale”, “La nera schiena del tempo”, fino al più recente “Tomas Nevinson”.
Romanzi e racconti con cui ha vinto i maggiori premi letterari europei, l’ultimo in ordine di tempo il premio Gregor von Rezzori. Le zone d’ombra, il non detto, il non rivelato, l’impossibilità di conoscere se stessi e le persone più vicine sono la materia che ha sempre stimolato la sua scrittura dove temi universali come il matrimonio, il tradimento, l’amore, i segreti si sono sempre accesi di una nuova e a volte inquietante luce. Come nel libro “Domani nella battaglia pensa a me” in cui Marias ci racconta una storia sulla morte e sulla vita, ma soprattutto sull’inganno nel quale viviamo. E lo scrittore spagnolo conquista il lettore con la profondità delle sue riflessioni e il suo modo di dipingere l’inevitabilità della vita e della realtà. Con la sua prosa densa e raffinata, ricca di monologhi e discorsi liberi, piena di cultura e con continui omaggi a Shakespeare (Il titolo stesso è un riferimento al “Riccardo III”, ma l’amore di Marias per l’autore inglese è evidente in più opere), l’autore dà vita a un libro davvero meraviglioso.
Tutto inizia quando Victor, il protagonista del romanzo, sta per passare una notte d’amore con Maria. Una donna che conosce appena, che non gli appartiene e cui lui non appartiene. Una donna, con un figlio di due anni, con cui passerà solo una notte di passione e che, forse, non vedrà mai più. Ed invece no, Maria, dopo i primi baci, si sente male e si spegne tra le sue braccia. “Tienimi, tienimi, per favore, tienimi” dice Marta a Victor, così lui si ritrova abbracciato a lei nel momento in cui Maria si trasforma da essere vivente in una persona morta. Quell’abbraccio, quel legame, diventeranno per Victor una sorta di incantesimo da cui non riesce a sciogliersi. Si ritrova quindi coinvolto nella vita di quella sua amante per una sera, cominciando cosi la ricerca delle persone che hanno abitato la vita della donna in un viaggio tra memoria e passato. Decide così di conoscerne il marito, la sorella e il padre, guidato dal gravoso peso di quella responsabilità ingombrante, di essere colui che ne ha condiviso l’esperienza più intima, quella della morte. Entrando in punta di piedi nelle vite della famiglia della defunta, il protagonista vi scopre rancori e segreti, personaggi poco onesti e scheletri da lasciare chiusi negli armadi.
Sullo sfondo rimane la figura del bambino: ultimo baluardo di una modernità senza appoggi, sprovvista di protezione e muta dinanzi alla morte. Però in mezzo a tutta questa nebbia arriva una certezza, anche di fronte alla morte (che può avere volti diversi e rappresentare le varie sconfitte e difficoltà che la vita pone davanti) bisogna continuare a vivere, prenderne coscienza, e quando sorge l’alba continuare a occuparsi di altro. Insomma la comprensione della vita attraverso la morte: è questo il leit motiv di tutto il libro. Marias dipinge i personaggi nei loro desideri, non in ciò che sono ma in ciò che vorrebbero essere, in luoghi in cui avrebbero voluto trovarsi, in tutto ciò che avrebbero voluto fare e che non hanno fatto, e non perché non ne sono stati capaci ma perché il destino non ha voluto.
Riccardo Sordi