Figlio dello storico Giovanni Sforza, nasceva 150 anni. Fu ministro degli Esteri e nel 1920 firmò per l’Italia il trattato di Rapallo. Si dimise dal’incarico di ambasciatore a Parigi subito dopo la Marcia su Roma.
Il 23 settembre 1872 nasceva a Lucca Carlo Sforza, di famiglia aristocratica di Montignoso, nipote di patrioti del Risorgimento e figlio di Giovanni storico, autore di una monumentale narrazione della storia di Pontremoli con documenti. Diplomatico di carriera completa fino al grado di ministro degli Esteri e uomo politico, eletto senatore dal re Vittorio Emanuele III nel 1919. Furono brillanti le sue ambascerie in capitali europee e asiatiche. Nel 1920 il vecchio Giolitti gli affidò la spinosa vertenza di delimitare i confini orientali d’Italia, riuscì a far accettare al Regno dei serbi, croati e sloveni il trattato di Rapallo che assegnava all’Italia Gorizia, Trieste, Pola, l’Istria e Zara dalmata.
Subito dopo la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, si dimise volontariamente dall’incarico di ambasciatore a Parigi perché intuiva le mosse antidemocratiche, avventurose di Mussolini nominato dal re capo del governo. Il suo biografo Livio Zeno pubblicò nel 1975 Ritratto di Carlo Sforza, sono 546 pagine in cui viene ricostruito il pensiero e valutate le azioni di Sforza sulla base di molti documenti inediti di grande interesse, tra i quali un carteggio con Benedetto Croce e Alcide De Gasperi. Prende risalto un uomo di vasta cultura, brillante scrittore, in relazione con importanti personaggi, di apertura cosmopolita, un realista ma anche un idealista.
Livio Zeno, che fu membro del Gabinetto Sforza e segretario suo particolare, dà rilievo all’antifascista di area laica, non marxista, non condivide ma non nasconde le critiche, riconosce però che Sforza non sempre seppe sfuggire alla sopravalutazione del suo peso politico. Principale esponente dell’opposizione al fascismo al Senato e come “collare dell’Annunziata” nel 1924 dopo l’assassinio di Matteotti fece il possibile per convincere il re a liberarsi del dittatore: avrebbe potuto farlo facilmente. Sforza divenne un fermo oppositore del regime, nel 1927 minacciato dagli squadristi prese la via dell’esilio in Francia, dove fu molto attivo pubblicista in favore dei valori della democrazia e della solidarietà europea, fu in contatto con gli altri esuli italiani, tra i quali i fratelli Rosselli e Gaetano Salvemini.
Nel maggio 1940 fece pervenire al re un drammatico appello a non firmare l’imminente dichiarazione di guerra. Rientrò in Italia nel 1943 dopo l’armistizio dell’8 settembre, nel momento cupo della guerra esterna e civile, ebbe parte decisiva nel processo che condusse l’Italia dalla monarchia alla repubblica. Sicuro sostenitore del diritto degli italiani di decidere sulla questione istituzionale, entrò nel nuovo governo di unità nazionale istituito da Badoglio nel 1944 come ministro senza portafoglio e gli fu conferita la carica di Alto Commissario per la punizione dei delitti e degli illeciti del fascismo.
Su questa vicenda Andrea Lepore ha pubblicato per ISRA nel 2017 il saggio Carlo Sforza Alto Commissario per l’epurazione (presentato da Massimo Michelucci e introdotto da Corrado Giunti). Il processo di liberare l’Italia dal fascismo ideologico e istituzionale e dai fascisti in carriera, voluto anche dagli Alleati vincitori, mancò ai suoi obiettivi per varie ragioni e poi venne l’amnistia e l’indulto Togliatti del 1946. Nonostante l’impegno investigativo e pieno di difficoltà di Carlo Sforza il processo di epurazione dal fascismo e dai fascisti non funzionò, l’Alto Commissariato fu soppresso e le sue competenze devolute alla magistratura ordinaria.
Carlo Sforza incontrò l’opposizione ostile di Churchill, che lo fece escludere dalla presidenza del primo governo dell’Italia liberata e poi nel 1948 per dissensi e qualche errore tattico fu bocciata la sua candidatura a presidente della Repubblica, anche se fortemente sostenuta da De Gasperi.
Nel secondo dopoguerra, fino alla morte a Roma nel 1952, Carlo Sforza fu di nuovo ministro degli Esteri dal 1947 al l 951: forse avrebbe potuto salvare la zona B del territorio libero triestino, passato invece sotto amministrazione angloamericana fino al 1954 e poi jugoslava, solo Trieste è ora in Italia.
Altro intento lungimirante, che scaturiva anche dal trattato di pace di Parigi del 1947, in cui erano già evidenti segnali di “guerra fredda”, Sforza auspicava l’ingresso dell’Italia nella Nato, quando ancora stavano su posizioni di neutralità il governo De Gasperi, buona parte della DC e alte personalità perfino del Vaticano. La meta ideale di Sforza fu anche l’unità europea, politica prima che militare e mercantile, un traguardo ancora non raggiunto, ma le nuove crisi in cui siamo precipitati dimostrano che Carlo Sforza in politica sapeva vedere lontano.
Maria Luisa Simoncelli