
Il primo a stupirsi è stato lo stesso Bernardo Zannoni: mai avrebbe pensato che 101 lettori anonimi della giuria popolare lo classificassero primo nel Premio Campiello letteratura, offerto dalla Confindustria del Veneto, con I miei stupidi intenti, (Sellerio editore, 2021, pagg. 252, 16 euro).
Davanti al microfono il 5 settembre nello splendore del teatro la Fenice a Venezia è rimasto “imbranato”, non trovava parole, non ne aveva preparata nessuna, perplesso teneva in mano una vera da pozzo, il trofeo del Premio.
Il 1962 è l’anno di nascita del Campiello, che si articola su cinque categorie di partecipanti, è con lo Strega Premio molto qualificato, prende il titolo da una commedia del Goldoni ambientata in una delle tante piazzole della città d’acqua. Alunno un po’ “casinista” si dichiara da solo, fin da bambino ha goduto nello scrivere racconti, il padre Alessandro fa lo sceneggiatore, lo ha stimolato a concorrere al Campiello con il romanzo I miei stupidi intenti, scritto a 21 anni, ora ne ha 27, si presenta scompigliato nei capelli e serioso coi baffetti e gli occhiali, è il più giovane vincitore. La “fabula” , che più alla buona chiamiamo trama, ci porta nel bosco, protagonista è un animale poco considerato: la faina zoppa Archy a cui è stato ucciso il compagno, deve lottare per provvedere ai suoi piccoli. Da tempi antichi sono state scritte storie di animali, parabole che rimandano alle vicende umane.
Bernardo Zannoni in un’intervista spiega che gli animali “permettono maggiore flessibilità nel narrare”. Per tirare avanti Archy va sotto padrone, l’usuraio Salomon pieno di segreti; fa esperienza del quotidiano male di vivere, terrorizzata ma anche stupita, si accendono in lei nuovi desideri e nuovi sogni. Impara a leggere, diventa proprietaria della parola e avrà salva la vita, scrive, legge soprattutto la Bibbia, scopre le fondamenta esistenziali ed essenziali del vivere: Dio, il tempo, la morte. Lotta per sopravvivere guidata dall’istinto e dal bisogno.
Gli spazi del romanzo sono nella casa del bosco in mezzo agli alberi, i pendii di verdi colline, le tane rifugio e vige la legge del più forte, gli altri devono trovare gli espedienti per tirare avanti. Storie di animali ma così umane! Il bosco è ambiente indefinito, è immensità, induce a meditare con realismo sulla parola salvifica, una volta trovata, ciò che è piccolo può diventare immenso, da quando è stata scritta, la parola diventa immortale, dà illusione di continuità. La scrittura, come Dio, dà sicurezza, se riusciamo a non perderci.
Romanzo sulla parola I miei stupidi intenti con venatura ironica nel titolo; gli intenti del giovane autore sono saggi e non certo stupidi; raccontandosi spera che la sua vita duri nel tempo proprio perché è stata raccontata con la parabola degli animali umanizzati, che non vivono nella paura che tutto della vita fugge via, non hanno coscienza e idea del presente, ignorano la morte, non conoscono il contrasto tra istinto e ragione, spesso così tormentoso nell’uomo. Giovane è l’autore, antico e urgente è il tema fondamentale con connotazioni filosofiche del suo libro: trovare la risposta al nostro essere nel mondo. Il racconto procede limpido e controllato, con ritmo musicale che richiama antiche melodie come quelle dei trovatori. In un’intervista dice che “la storia procedeva mentre scrivevo, era un processo istintivo, senza scaletta”: uno stato di grazia dello scrittore di talento.
Nelle poche analisi di cui disponiamo Bernardo Zannoni è avvicinato ad Albert Camus per i temi esistenzialistici e lo stile classicamente composto; qualche traccia è di De André. Di sé dice di essere molto sognatore, col bisogno di “prendere la realtà e renderla più concreta, scoprire Dio e, percepito il tempo, combattere l’epifania nera e distruttiva della morte”.
Maria Luisa Simoncelli