Il presidente Mattarella costretto a sciogliere le Camere. Elezioni il 25 settembre
Sembra che in Italia godiamo nel farci del male: non bastava la guerra in Ucraina, come non bastavano la recrudescenza della pandemia, l’aumento dei costi delle materie prime, del costo della vita, l’inflazione all’8/10%, una situazione climatica quasi estrema, che richiede interventi mirati e puntuali, la necessità di governare i progetti (Pnrr) per ottenere le sovvenzioni europee; ci voleva anche una bella crisi di governo.
Nessuno, tranne la Meloni e i suoi, la voleva. Tante voci, cosa mai accaduta in passato, si erano levate per scongiurare la crisi da Confindustria ai sindacati, ai tanti movimenti, alla Conferenza episcopale, alla stessa Europa, che vedeva nella caduta di Draghi rischi per l’economia e per la tenuta del Paese. Tutto inutile e, come sempre, nessuno vuole la responsabilità di ciò che è accaduto. Le prime avvisaglie delle difficoltà del governo Draghi si erano manifestate nella scissione di Di Maio dai Cinquestelle. Ma il colpo definitivo si è avuto quando Conte e i suoi hanno rifiutato la fiducia a Draghi, subito seguiti da Lega e Forza Italia. A quel punto la maggioranza era sfasciata e a Mattarella non è restato che sciogliere le Camere, senza tentare di affidare a qualcun’altro l’incarico per la formazione di un nuovo governo perché la situazione del Paese è drammatica ed i problemi vanno affrontati nel più breve tempo possibile.
La colpa di tutto questo marasma? I sondaggi. Nel quadro generale delle intenzioni di voto si evidenzia la caduta progressiva del M5s e della Lega. C’è qualche miglioramento di FI e c’è la crescita di Fratelli d’Italia, dato come primo partito, e del Pd, poco lontano dalla Meloni. Il centrosinistra è estremamente frastagliato e in difficoltà. Quello che doveva essere il “campo largo” di Letta e che si basava sull’alleanza con i 5stelle, va in frantumi, per cui il centrodestra si trova in una condizione di quasi assoluta tranquillità con sondaggi che danno alla coalizione anche la maggioranza assoluta.
Mancavano pochi mesi alla conclusione naturale della legislatura, ma l’occasione era troppo ghiotta. Nessuno dei protagonisti della crisi ha pensato al bene comune. I 5stelle, abbandonati da tutti, cercano di ritrovare quella spinta identitaria che li aveva portati a grandi successi elettorali, senza rendersi conto che continuano a perdere pezzi non solo di deputati, anche di consenso. Sono condannati alla marginalità. Letta dal conto suo, dopo aver tentato in tutti i modi il dialogo con Conte, si ritrova a dover riscrivere una coalizione denominata probabilmente Democratici e Progressisti, in cui dovrebbero entrare Sinistra italiana, Centro Democratico, Socialisti e Verdi e il gruppo di Speranza, in attesa che anche Calenda, col suo gruppo di centro, dia la sua adesione.
Non è per niente semplice. Sono tante le teste con cui ragionare. Chi rischia di restare fuori dai giochi facendo corsa solitaria è anche Renzi. Sono troppi i “nemici” coi quali ha avuto “rapporti” in questi anni e da troppi è ritenuto inaffidabile. Sembra più stabile la coalizione di centrodestra. I numeri le danno ragione. Ma sono proprio i numeri che creano problemi. Due sono i temi all’ordine del giorno: la leadership e la distribuzione delle candidature nei collegi uninominali. Per quanto riguarda la prima, non è facile trovare un accordo su chi andrà a Palazzo Chigi in caso di vittoria, vista la personalità dei contendenti: Berlusconi, Meloni, Salvini. La Meloni intende far valere la regola del voto per assegnare il ruolo di capo coalizione, quindi, dati i sondaggi, ne rivendica il ruolo.
Salvini, visto che nelle ultime elezioni ha usufruito di quel principio, non può che essere d’accordo con la Meloni, covando tuttavia la speranza di recuperare posizioni. Berlusconi invece, scottato dalla precedente esperienza con la Lega, non ritiene che basti un voto in più per governare, soprattutto se la Meloni dovesse apparire un rischio per i moderati e per gli ambenti internazionali.
Anche sulle liste le cose non risultano facili. Mentre Berlusconi e Salvini sono per dare il 33% di candidati ad ogni partito, la Meloni, sempre contando sui sondaggi, ne esigerebbe una fetta ben più abbondante. Sulle candidature nascono tuttavia i problemi per tutte le coalizioni. Si è aperta allegramente una crisi forse dimenticando che il prossimo Parlamento sarà composto solo da 400 deputati e 200 senatori. Molti degli attuali parlamentari non verranno rieletti. Inoltre non si è fatta una nuova legge elettorale e si torna alle urne con le regole del Rosatellum. Solo la Meloni, probabilmente, vedrà aumentare i propri seggi. Per tutti gli altri ci sarà una grossa cura dimagrante.
Per questo la campagna elettorale è iniziata subito con slogan e con poca delicatezza nei confronti degli avversari. Ha iniziato Berlusconi, promettendo mille euro al mese per le pensioni minime e un milione di alberi all’anno. Ma ha anche liquidato Brunetta e la Gelmini con un poco simpatico “riposino in pace”, cui poi è seguito l’infame riferimento da parte della sua fidanzata Marta Fascina sulla statura di Brunetta, segno che l’uscita da Forza Italia del ministro (assieme a quella della Gelmini e della Carfagna) brucia. Naturalmente non sono le uniche dichiarazioni infuocate. La campagna elettorale non è iniziata sotto i migliori auspici.
Giovanni Barbieri