Papa Francesco ha consacrato la Russia e l’Ucraina al Cuore immacolato di Maria

“In unione con i vescovi e i fedeli del mondo, desidero solennemente portare al Cuore immacolato di Maria tutto ciò che stiamo vivendo: rinnovare a lei la consacrazione della Chiesa e dell’umanità intera e consacrare a lei, in modo particolare, il popolo ucraino e il popolo russo, che con affetto filiale la venerano come Madre”.
Questo il punto centrale della preghiera che il Papa ha recitato venerdì 25 marzo, festa liturgica dell’Annunciazione, nella basilica di S. Pietro. A distanza di due anni, ancora una volta Francesco ha posto i dolori dell’umanità nelle mani di Maria Vergine. Il 27 marzo 2020 chiedeva la fine della pandemia; era solo in una piazza sferzata dal vento e dalla pioggia. Quest’anno non era solo: c’erano fedeli nella basilica e nella piazza. In ogni parte del mondo, in particolare a Fatima, si è partecipato ad un rito denso di commozione e di speranza. Una speranza che va al di là delle attese degli uomini, finora incapaci di costruire sentieri seri di pace e sordi al dolore dei poveri.

Da oltre un mese i nostri occhi sono pieni di scene incredibili, che si pensava fossero retaggio del passato, di paure per tragedie che, si pensava, non si sarebbero mai ripetute. “Ogni volta che la vita si apre a Dio, la paura non può più tenerci in ostaggio… In questi giorni notizie e immagini di morte continuano a entrare nelle nostre case, mentre le bombe distruggono le case di tanti nostri fratelli e sorelle ucraini inermi”. È l’immagine al centro dell’omelia del papa nel rito penitenziale. “Avvertiamo dentro un senso di impotenza e di inadeguatezza. Abbiamo bisogno di sentirci dire ‘non temere’. Ma non bastano le rassicurazioni umane, occorre la presenza di Dio… Perché in ciò che conta non bastano le nostre forze. Noi da soli non riusciamo a risolvere le contraddizioni della storia e nemmeno quelle del nostro cuore”.

Per questo l’Atto di Consacrazione è stato preceduto da una celebrazione penitenziale comunitaria con confessione individuale. Lo stesso Papa è sceso nella navata della basilica, si è confessato e ha confessato.
Dopo la benedizione finale l’Atto di Consacrazione: non una formula magica ma un atto spirituale. “Madre di misericordia, tante volte abbiamo sperimentato la tua provvidente tenerezza… Noi abbiamo smarrito la via della pace. Abbiamo dimenticato la lezione delle tragedie del secolo scorso, il sacrificio di milioni di caduti nelle guerre mondiali. Abbiamo disatteso gli impegni presi come Comunità delle Nazioni e stiamo tradendo i sogni di pace dei popoli e le speranze dei giovani. Abbiamo preferito ignorare Dio, convivere con le nostre falsità, alimentare l’aggressività, sopprimere vite e accumulare armi, dimenticandoci che siamo custodi del nostro prossimo e della stessa casa comune. Noi, dunque, Madre di Dio e nostra, solennemente affidiamo e consacriamo al tuo Cuore immacolato noi stessi, la Chiesa e l’umanità intera, in modo speciale la Russia e l’Ucraina. Accogli questo nostro atto che compiamo con fiducia e amore, fa’ che cessi la guerra, provvedi al mondo la pace. Estingui l’odio, placa la vendetta, insegnaci il perdono. Liberaci dalla guerra, preserva il mondo dalla minaccia nucleare”.
È giunto il momento di abolire la guerra
Di fronte al pericolo di autodistruggersi, l’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia”. Da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina papa Francesco ha fatto risuonare la sua voce senza preoccuparsi dei protocolli diplomatici. Queste parole drammatiche sono risuonate in Piazza San Pietro nel quinto Angelus dall’inizio della guerra. Ma sono state precedute da richiami costanti alla pace e da tentativi di dialogo che il Papa ha portato avanti pur sapendo di non trovare interlocutori.
Così era andato con la sua 500 all’ambasciata russa accreditata presso il Vaticano, aveva telefonato al patriarca Kirill, dato la disponibilità della Santa Sede per eventuali possibilità di trattative. Ha fatto sentire la sua presenza anche con una telefonata al presidente ucraino, ha messo a disposizione dei disperati che fuggono dalla catastrofe le Caritas del mondo, ha inviato due cardinali nelle zone calde per dire che la gente non è abbandonata. Mentre la solidarietà esplode in tutta la sua generosità, non è altrettanto positiva la risposta dei potenti. Mentre il sangue continua a scorrere e col sangue tutta la scia di dolore che lo accompagna, non si vedono passi concreti e credibili di pace. Non c’è da meravigliarsi che il grido che si alza dal pontefice non sia ascoltato.
Era già accaduto a Benedetto XV, nel 1917, quando denunciava la Prima guerra mondiale come “inutile strage”. Era accaduto a Pio XII alla vigilia della seconda guerra mondiale: “Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra”. Papa Francesco è in buona compagnia. Non ha eserciti, ma non per questo la sua parola è meno autorevole. E chiede ai grandi della terra di fare un atto di coraggio: abolire la guerra. Che vuol dire abolire la volontà di potenza, di sopraffazione, dell’uso della forza e non del diritto per dirimere le questioni internazionali che, per quanto complesse, devono trovare soluzioni nel dialogo e nell’ascolto soprattutto dei deboli.
Perché i “grandi” decidono la guerra, ma sono i piccoli, la gente comune, a morire. Non va dimenticato, inoltre, che da tempo il papa denuncia la diffusione della terza guerra mondiale a pezzi. Non lo dimentica neppure nella preghiera di consacrazione, unendo tutta l’umanità a Russia e Ucraina. Noi abbiamo sotto gli occhi le scene apocalittiche del conflitto alle porte dell’Europa, ma nel mondo sono tanti i popoli che vivono, oggi, la stessa disperazione. Il cuore del Papa spesso li ricorda ad un mondo un po’ distratto.
Giovanni Barbieri