Reporter uccisi, vittime anonime, guerre dimenticate

La morte di Brent Renaud, 50 anni, statunitense, fotografo e videomaker, ucciso una decina di giorni fa da una raffica di colpi mentre si trovava in auto assieme a un collega reporter americano e a un autista ucraino per le vie di Irpin, purtroppo non è rimasta isolata. L’elenco dei giornalisti uccisi in Ucraina è salito, al momento, a cinque: oltre a Renaud, Benjamin Hall, Pierre Zakrzewski, Alexandra Kuvshinova e il cameraman Yevhen Sakun; i reporter feriti sarebbero una quarantina. Un caso a parte è rappresentato dalla giornalista russo-ucraina Marina Ovsyanikova, che aveva manifestato in diretta tv: perseguitata per aver espresso le sue convinzioni contro la guerra.
Se la morte di un giornalista, fa più scalpore in quanto, per fortuna, meno ricorrente e legata alla sua presenza sul teatro di guerra per motivi professionali, non per questo si possono mettere in secondo piano quelle dei tanti uomini, donne e bambini ucraini vittime dell’avanzata russa, trafitti dalle pallottole di un fucile, dalle schegge di una bomba, oppure rimasti schiacciati nel crollo di un edificio. La vita ha lo stesso valore, sia che si tratti di un soldato ucraino impegnato nella resistenza e nella difesa del suo Paese o di soldato russo mandato a morire in terra ucraina per una causa sbagliata.
All’origine c’è sempre la stessa furia omicida di chi pretende di risolvere i problemi con le armi anziché con il dialogo e la diplomazia. Dei giornalisti che muoiono sul campo possiamo conoscere il nome, la storia personale e professionale. Dei tanti altri che sono morti, muoiono o moriranno per questa assurda guerra non sapremo i nomi né conosceremo le storie. Rimarranno sconosciuti i volti dei bambini uccisi a Mariupol, delle donne violentate, dei vecchi morti d’infarto per il terrore provocato dai missili che cadono sulle città dell’Ucraina. Allargando lo sguardo, allo stesso modo non conosciamo nomi e storie di chi perde la vita nelle decine di conflitti in Africa, in Medio Oriente, in America Latina. Guerre considerate ormai quasi “scontate”, eppure altrettanto assurde e tragiche.
Guerre lontane, che sembrano non toccarci, ma che poi presentano il conto sotto forma di drammi sociali, migrazioni, crisi economiche, alimentari, energetiche. Don Primo Mazzolari (1890-1959), nella foto, parroco pacifista nella Bassa padana, che era stato al fronte durante la prima guerra mondiale, scriveva nel suo libro Tu non uccidere, apparso nel 1955 in piena guerra fredda: “Cristianamente e logicamente la guerra non si regge… perché Dio ha comandato: ‘Tu non uccidere’… e per di più si uccidono fratelli, figli di Dio, redenti dal sangue di Cristo; sì che l’uccisione dell’uomo è a un tempo omicidio… suicidio perché svena quel corpo sociale… di cui l’uccisore stesso è parte; e deicidio perché uccide l’immagine e la somiglianza di Dio”.
Vocabolario segnato dal tempo, eppure estremamente e precisamente attuale.

Agensir