Al voto solo gli uomini in base al censo: appena il 2% della popolazione. Le elezioni del 27 gennaio scelsero i primi deputati della Camera che si ritrovarono a Torino, capitale provvisoria d’Italia
L’Italia è rimasta divisa in piccoli stati fino al 1861. Vittorio Emanuele II di Savoia “re per Provvidenza divina e per voto della nazione” è il primo re d’Italia ma mantiene l’ordinativo II per continuità della dinastia nel nuovo regno. Tessitore fondamentale fu il grande statista Camillo Cavour. Le elezioni del 27 gennaio scelsero i primi deputati della Camera, erano regolate dallo Statuto Albertino, concesso nel 1848 dal re del Piemonte e adottato dal regno d’Italia fino alle leggi fascistissime del 1926; la prima seduta del Parlamento italiano fu nel 1861, il 17 marzo, dal 1911 giorno della festa dell’Unità d’Italia.
La capitale provvisoria fu Torino ma il Parlamento italiano, per volontà di Cavour, primo ministro di un governo a maggioranza liberale moderata, proclamò che la capitale doveva essere Roma; fu il suo ultimo atto politico prima dell’improvvisa prematura morte il 6 giugno1861.
L’ing. Antonio Giuliani, un lunigianese alla Camera
Quella insediatasi nel 1861 va sotto il nome di ottava legislatura anche se fu la prima del Regno d’Italia. Mantenne infatti, proseguendola, la numerazione di quelle del Regno di Sardegna che si era insediato l’8 maggio 1848.
Questa VIII legislatura (18 febbraio 1861 – 7 settembre 1865) vide sedere in Parlamento 636 tra senatori e deputati: tra questi era anche il lunigianese Antonio Giuliani, nato a Filattiera il 6 novembre 1810 e morto a Pontremoli il 5 gennaio 1889. Nella lapide sulla cappella di famiglia nel cimitero di Pontremoli si legge che fu “ingegnere insigne, illustre scienziato, liberale a prova di lotte e sacrifizii, nelle congiure nelle agitazioni politiche, nel governo della rivoluzione toscana fu gran parte dell’eletta schiera che compie l’Unità d’Italia”.
Un impegno che gli valse l’elezione nella prima Camera del Regno d’Italia nella quale per la Lunigiana “con incontrastata autorità e competenza con affetto pari a giustizia propugnò ed ottenne opere di vitale interesse” con particolare riferimento alla scelta del tracciato e alla costruzione della nuova ferrovia transappenninica sotto il Borgallo.
Per l’ingegnere lunigianese quella fu l’unica esperienza parlamentare, ma l’archivio della Camera (storia.camera.it) ci mostra ventinove tra interventi e citazioni di colui che, esperto di opere civili, si impegnò in modo determinante per fa riconoscere la necessità di un terzo tunnel sotto l’Appennino, intermedio tra quello genovese dei Giovi e quello pistoiese della Porretta che proprio in quegli anni si stava realizzando.
Come noto la costruzione della ferrovia dalla Spezia a Parma non fu una scelta scontata: numerose altre erano le idee progettuali sui tavoli dei ministeri, ma la necessità – sostenuta più volte in sede parlamentare dall’ing. Giuliani – di collegare direttamente il costruendo porto militare spezzino con la pianura padana fece propendere per quella possibilità.
E già nella seduta del 29 maggio 1861 Giuliani fece capire quanto lui personalmente e i territori che rappresentava tenessero a quell’opera, facendo omaggio ai colleghi deputati di un opuscolo a nome del Comitato Pontremolese per la ferrovia da Spezia a Parma.
Ma neppure lui fu “profeta in patria”; vale infatti la pena sottolineare, come ricorda la lapide nel cimitero, che nonostante il suo impegno l’ing.Giuliani dalla Lunigiana in generale e da Pontremoli in particolare abbia ottenuto in cambio “l’immeritato oblio dei suoi concittadini” che tuttavia “con virile serenità ricambiò continuando la feconda operosità sua a pro’ del nostro paese”. (p. biss.)
Erano pochi gli elettori, neppure il 2% degli abitanti perché il diritto di voto era su base censitaria, ne godevano poco più di 400mila su circa 26 milioni di abitanti; così per il Parlamento votavano solo i più ricchi. Nelle prime elezioni politiche furono eletti 234 monarchici moderati, 112 democratici e azionisti dell’opposizione, 12 conservatori. La Destra, il partito erede di Cavour che governò fino al 1876, si trovò di fronte a problemi enormi in un paese che da secoli aveva differenziazioni di ogni tipo.
L’unità politica bisognava tradurla in unità amministrativa dei codici, dei bilanci, dell’esercito, della moneta, dei sistemi metrici. L’opera di amalgama delle tante diversità, per paura che l’unità potesse naufragare, portò a un frettoloso accentramento su base delle norme piemontesi che provocò una reazione immediata dei tanti che non videro migliorare la loro condizione, subirono un eccessivo fiscalismo, i contadini non ebbero la proprietà della terra che era stata promessa.
Si fece acuta la “questione meridionale” del divario tra nord e sud d’Italia ancora da risolvere oggi, ma le tensioni sociali erano forti in tutto il paese; rimaneva da completare l’unità geopolitica dell’Italia perché mancavano Lazio e Triveneto.
Servivano ferrovie e altre infrastrutture necessarie per far decollare le attività industriali; il 78% dei cittadini era analfabeta. Il Senato contava solo uomini nominati a vita dal re, aveva le stesse funzioni legislative della Camera tranne l’imposizione di tributi e leggi di bilancio, ne consegue che di fatto la fiducia al governo veniva dalla Camera elettiva dei deputati, sensibile a fluttuazioni, trasformismi degli orientamenti di opinione. Malgrado le difficoltà, l’Italia da 160 anni sa affrontare problemi, fa progressi, resiste ai virus, ai dittatori, alla clausura in cui siamo confinati.
(Maria Luisa Simoncelli)