Grande interesse per la conferenza di Enzo Menconi ai “Giovedì di Palazzo Fantoni”
Goffredo Mameli (Genova 1827 – Roma 1849)
Ha suscitato uno straordinario interesse e centinaia di contatti la conferenza tenuta dall’ammiraglio Enzo Menconi, vicepresidente dell’Associazione Apuamater, nell’ambito dei “Giovedì culturali di palazzo Fantoni”, meticolosamente organizzati da Ragna Engelbergs. Il titolo “Goffredo Mameli e il Canto degli Italiani”, del resto, era patriotticamente invitante, anche perché la non conoscenza dell’argomento è pari solo al desiderio di sapere di più della storia del nostro inno, che ha inizio nell’ottobre del 1847, quando Goffredo Mameli scrisse la poesia “Canto nazionale”.
Fu Michele Novaro, musicista e tenore, anch’egli genovese, avutala mentre si trovava a Torino per lavoro, a musicarla e ad apportare anche delle modifiche al testo. Il titolo divenne “Il Canto degli Italiani”, mentre l’incipit “Viva l’Italia” fu trasformato in “Fratelli d’Italia” e alla fine di ogni strofa fu introdotto il “Sì”.
La data ufficiale della prima volta in cui fu cantato è il 10 dicembre 1847. Quel giorno, in occasione della celebrazione del 101° anniversario della cacciata degli Austriaci e dei Piemontesi da Genova, lo stesso del 1746, si formò una processione di circa 30.000 genovesi, che giunsero a piedi dai pressi dell’attuale stazione di Porta Principe al santuario di Nostra Signora di Loreto nel quartiere di Oregina, nel cui piazzale era presente la filarmonica sestrese, che intonò l’inno, mentre tutti i partecipanti cantavano e Goffredo Mameli sventolava il tricolore a strisce orizzontali, che l’anno successivo il re Carlo Alberto, nello Statuto Albertino, sostituì alla bandiera azzurra, aggiungendo al centro lo scudo sabaudo.
A ricordo dell’avvenimento la scalinata che oggi conduce al santuario è denominata “il Canto degli Italiani”.
Si era in pieno Risorgimento, con l’Italia divisa in sette stati, e cantare un inno che nell’incipit aveva “Fratelli d’Italia” rappresentava un manifesto di intenti unitari, rivoluzionari, “paragonabile per importanza a quello di Ventotene”.
L’inno fu poi riproposto nel 1944 da Radio Bari Libera, che lo mandava in onda al termine delle trasmissioni di informazione sull’andamento della guerra nel Meridione, al posto della marcia reale, che nel ventennio veniva seguita da “Giovinezza”. La marcia reale è stato l’inno in vigore dal 1861, anno dell’Unità d’Italia, fino al 25 aprile 1945, quando fu sostituito dalla “Canzone del Piave”.
Solo il 12 ottobre 1946 “Il Canto degli Italiani’ fu adottato come inno, per Decreto firmato dal Ministro Cipriano Facchinetti, ma provvisoriamente, per il giuramento delle forze militari. Non fu inserito, però, nella Costituzione, come avvenne per la bandiera, all’art.12. Ci volle la Legge 181 del 4 dicembre del 2017 per rendere ufficiale e definitiva l’adozione del “Canto degli Italiani” quale inno d’Italia, dopo che nei 71 anni precedenti si registrarono vari tentativi di sostituirlo con altri (“Va pensiero”, ad esempio). E pensare che Giuseppe Verdi amava il Canto, al punto che ne inserì alcuni passi musicali nell’inno che nel 1872 compose per l’Esposizione Universale di Londra! Il “Canto” ha accompagnato l’evoluzione storica d’Italia, specialmente durante le tre Guerre d’Indipendenza, non finendo mai nell’oblio, come capitato, invece, ad altri, quali “Addio mia bella addio” o “La bella gigogins”, a dimostrazione del suo alto valore musicale, che lo fa giudicare non una marcia, ma un “momento di opera lirica”, e della significativa citazione dei fatti, che sono un vero concentrato di passaggi storici.
Basta leggere i primi 8 versi della seconda strofa, che racchiudono 600 anni di storia: Dall’Alpi a Sicilia / Dovunque è Legnano / Ogn’uomo di Ferruccio / ha il core, la mano / I bimbi d’Italia / si chiaman Balilla / Il suon d’ogni squilla / I Vespri suonò.