Tensione e paura nel Paese all’indomani delle elezioni presidenziali e legislative del 27 dicembre. Dal 2013 alle prese con una grave situazione politico e militare, il territorio è in gran parte in mano ai ribelli
È da diverso tempo che nella Repubblica Centrafricana l’aria s’è fatta pesante. Dal 2013 il Paese è alle prese con una grave situazione politico e militare che negli ultimi mesi dello scorso anno, avvicinandosi l’appuntamento delle elezioni presidenziali e legislative – tenutesi il 27 dicembre – ha comportato il ritorno ad un massiccio ricorso alla forza delle armi.
Fatta eccezione per la capitale Bangui, la quasi totalità del territorio centrafricano è in mano a gruppi di ribelli, una volta antagonisti tra loro (come i Seleka e gli antiBalaka) ed ora “cementati” dalla fame di potere e riuniti nella Coalizione dei patrioti per la Repubblica Centrafricana (CPC) a sostegno dell’ex capo di stato François Bozizé (sul quale pende un mandato di arresto internazionale) escluso dalla competizione elettorale.
Perché si sia arrivati a questo punto lo spiega bene p. Trinchero. “Nelle ultime settimane, diversi gruppi di ribelli, nell’intento di destabilizzare il paese, impedire le elezioni e, probabilmente, raggiungere la capitale per l’ennesimo colpo di stato, hanno seminato paura in numerose città con saccheggi e scontri armati, che hanno come riportato la nazione alla casella di partenza, cioè alla guerra iniziata nel 2013 e dalla quale – lo sapevamo bene – non si era mai del tutto usciti. Al momento non si contano molte vittime e l’elemento confessionale, che aveva caratterizzato in precedenza il conflitto, è per fortuna assente. Se la situazione non è precipitata è solo grazie al contingente di pace dell’Onu e alla presenza di altri militari stranieri, tra cui i russi e i ruandesi. Le operazioni di voto del 27 dicembre sono state fortemente disturbate e rese incerte fino all’ultimo. In molte città e villaggi non è stato possibile votare a causa delle minacce nei confronti di chi volesse recarsi ai seggi. Il presidente uscente, Faustin Archange Touadera, è dato per vincente con più del 50% dei voti espressi, ma il risultato sarà sicuramente contestato. Davanti a noi si apre, purtroppo, un periodo buio e che non si risolverà né facilmente né rapidamente”.
La situazione nella missione di Wantiguera
In questi giorni, Gianni Lazzarotti, direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale Missionaria e la Cooperazione tra le Chiese, ha seguito con particolare apprensione l’evolversi della situazione politica nella Repubblica Centrafricana, dove, dal 1993, le suore del Lieto Messaggio curano la missione di Wantiguera, diocesi di Bouar. Lo scorso 9 gennaio, in particolare, suor Liliana, anche a nome delle sue consorelle – suor Maria Silvia, suor Sylva e suor Nazarena, che hanno fatto dell’Africa e della bella parrocchia di Wantiguera la loro casa -, ha scritto di “una giornata tremenda”, ammettendo che “di fronte a tante mamme e bambini terrorizzati dagli spari, io che mi credevo forte, ho pianto”.
In serata, poi, la situazione si è fatta più tranquilla: “Tante famiglie hanno lasciato il villaggio. Alla missione ci saranno circa 100 persone. Ci sono stati combattimenti tra le forze militari e i ribelli”. Poi, aggiunge Lazzarotti, ha concluso il messaggio con una serie di emoticon di mani congiunte nella preghiera e un cuoricino che lasciamo alla libera interpretazione di ciascun lettore. Il 10 gennaio il direttore dell’Ufficio diocesano è riuscito a sentire le suore tramite una chiamata vocale su WhatsApp.
Nonostante la scarsa qualità del collegamento, il racconto telefonico gli ha fatto percepire la paura vissuta dalle suore e dalla gente del villaggio nella giornata precedente. “La loro devozione e l’abbandono alla Provvidenza, commenta Lazzarotti, sono grandi. Nonostante tutto quello che stanno vivendo continuano a preoccuparsi di noi, vogliono sapere come ci sentiamo.
Consola e tranquillizza, almeno in parte, il fatto di poter parlare con loro e sapere che, grazie a Dio, nella missione tutto va bene e di quanto accaduto il giorno prima a poche centinaia di metri da loro (poco più di 2.000 metri in linea d’aria) hanno ‘solo’ sentito il boato dei colpi sparati”. Allora cerchiamo, conclude Lazzarotti, per come ciascuno di noi potrà, di ricordarci delle suore del Lieto Messaggio che a Wantiguera si impegnano per far crescere la “cultura della cura come percorso di pace”, intesa come “la promozione della dignità di ogni persona umana, la solidarietà con i poveri e gli indifesi, la sollecitudine per il bene comune, la salvaguardia del creato”.
Parlando di questa nazione che ama cita Isaia che profetizza: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri… non impareranno più l’arte della guerra”. Lo cita come annuncio di speranza e sogno possibile anche per tutto il Centrafrica. “Situazione calma ma tesa”. Così mons. Juan José Aguirre Muñoz, Vescovo di Bangassou, descrive le condizioni della città nel sud-est della Repubblica Centrafricana dopo la conquista effettuata dai ribelli nella giornata del 4 gennaio. Mentre una parte della popolazione è scappata nella vicina Repubblica Democratica del Congo, spiega, i militari regolari e le forze di polizia si sono rifugiati nella vicina base dei Caschi Blu della MINUSCA (Missione ONU nella Repubblica Centrafricana). “La città ora è quasi deserta. La notte è stata calma. Non si sono avute sparatorie” dice il Vescovo.
“Ci sono solo i ladri nella città di Bangassou, che hanno saccheggiato i negozi. Per il resto la situazione è calma. Forse i ribelli vogliono capire quale sarà il prossimo governo e non vogliono fare male alla popolazione per il momento”. Sabato 10, i ribelli hanno attaccato le città di Bouar e Grimari e solo l’intervento dimostrativo e intimidatorio di due aerei da guerra francesi hanno almeno momentaneamente bloccato una avanzata sulla capitale.