Fratelli tutti. Il sesto capitolo dell’enciclica
Dopo averci invitato ad allargare il cuore al mondo intero, con il sesto capitolo “Dialogo e amicizia sociale”, l’ enciclica ci fa posare lo sguardo sulla realtà che ci circonda e questo è percepibile sin dalla prima parola: “avvicinarsi”.
È un capitolo che si svolge tutto all’insegna del realismo e della concretezza e che in alcuni punti tocca vette di poesia. Il primo tema è il dialogo, a proposito del quale sono messi in luce due rischi: una interpretazione superficiale che lo renderebbe in realtà monologo e l’abitudine che ormai abbiamo fatto alla violenza del linguaggio.
Oggi almeno, nella nostra società c’è un maggiore controllo su quella fisica ma siamo immersi in un clima di violenza verbale senza precedenti che quasi non ci stupisce più. Coloro che, invece, provano ad intessere un dialogo riconoscendo la buonafede dell’altro e senza far prevalere i propri interessi, il papa li chiama “eroi”, facendo appello a questa categoria che parla all’immaginario di tutti. Sempre guardando alla realtà, suggerisce di prendere atto che il concetto di prossimità deve oggi rinnovarsi perché i social media permettono di sentirci tutti più prossimi in forme inaspettate: è una risorsa ma non bisogna nasconderne i rischi. Lapidaria e chiara, poi, è la sentenza riservata alla tentazione del relativismo davanti ai numerosi interrogativi che la vita propone: “non è la soluzione”.
Tutti si rendono facilmente conto che invece esistono alcuni valori – che, riprendendo una definizione che molti vorrebbero superata, il papa chiama “non negoziabili” – che fanno funzionare meglio la società al di là di ogni loro declinazione culturale.
Per i credenti, però, c’è un ulteriore sigillo: la natura umana fonte dei principi etici è stata creata da Dio. A questo punto, papa Francesco ci stupisce inserendo una bella citazione la cui provenienza può apparire strana e che, come ogni poesia, sa spiegare più di mille trattazioni: “La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita” (Samba della benedizione di Vinicius De Moraes).
Arte e artigianato sono due parole chiave che ritornano spesso in questi paragrafi per descrivere la concretezza di parole ancora troppo astratte come pace, incontro, dialogo. Per questo, il Papa lancia un appello: insegnare ai figli la buona battaglia dell’incontro, parafrasando forse la buona battaglia della fede di san Paolo (1Tim 6,12). Del resto, cos’è la fede se non un incontro con Dio?
L’enciclica offre qui una profonda riflessione psicologica: per vincere la paura dell’incontro e del dialogo con l’altro bisogna, anzitutto, conoscere bene se stessi. In conclusione, viene presentata una parola che può essere presa come sintesi del capitolo e forse anche dell’enciclica: gentilezza (che si trova già in Gal 5,22 tra i frutti dello Spirito Santo).
La fratellanza universale parte da chi si ha intorno ed è necessario ricordalo soprattutto nei momenti di crisi come questo che rischiano di tirar fuori il peggio di noi. Chi la pratica è come “stella in mezzo all’oscurità”, altra immagine poetica. Si parte da un sorriso o da semplici parole come permesso, scusa, grazie: un consiglio che già molte volte papa Francesco ha dato in questi anni ma ora chiede con forza che la gentilezza da miracolo si faccia cultura.
La gentilezza è potente perché non risolve i conflitti, li previene! A margine di questo sesto capitolo possiamo riscoprire l’esperienza cristiana fondamentale della liturgia come scuola di dialogo e concretezza: le nostre celebrazioni sono tutte costruite su dialoghi ben ordinati tra i presenti senza prevaricazioni in cui la dignità degli interlocutori è continuamente riconosciuta vicendevolmente perché il suo protagonista è Cristo.
Don Emanuele Borserini