Era la Domenica delle Palme di 90 anni fa. Vescovo per un quarto di secolo
A Pontremoli il nome Giovanni Sismondo (Casale Monferrato 1879-Torino 1957) risuona nella dedica di una via, in un attivo Centro Giovanile, in un monumento bronzeo, in un busto marmoreo in Duomo e in una formella della porta della chiesa di San Niccolò. E’ stato vescovo per 25 anni e ha esercitato il suo ministero spirituale in tempi molto difficili che lo hanno portato ad assumere anche funzioni e compiti civili e sociali in difesa e sostegno delle persone. La sua personalità, la sua attività pastorale sono state illustrate in tante celebrazioni, in testimonianze orali e scritte, in libri.
Dal volume di Pier Luigi Rossi “Giovani Sismondo vescovo di Pontremoli”, edito dall’Associazione Culturale Pontremolese nel 1979, emerge un nitido profilo di questo piemontese tenace nella fede, nella dottrina della Chiesa, nella carità e misericordia prima di tutto verso i bisognosi. Erano davvero tanti in un’Italia sotto la dittatura che dissanguò le poche risorse economiche buttandosi in disastrose guerre: invasione dei paesi del Corno d’Africa, l’appoggio armato ai franchisti nella guerra civile spagnola, l’occupazione dell’Albania e la suprema catastrofe della seconda guerra mondiale.
Guerre decise nei palazzi del potere ma a prezzo di tanto sangue e tante lacrime. Il vescovato di Sismondo si è svolto dentro queste tragiche emergenze che il libro di Pier Luigi Rossi mette in luce con nitida essenziale narrazione e con la passione di chi ha conosciuto da vicino il personaggio. Il volume ha una seconda ampia parte tutta documentaria e di prima mano curata da Vasco Bianchi e da Don Pietro Tarantola allora redattore del Corriere Apuano (molto sostenuto dal vescovo e a cui affidò ogni sua comunicazione). Il filo conduttore della personalità di Sismondo è il senso della carità consolidato già nei dieci anni di formazione al Cottolengo di Torino a continuo contatto col dolore di corpi ammalati e di anime fragili: indistruttibile era in lui la fiducia nella Divina Provvidenza, valore approfondito con argomenti teologici nella prima Lettera pastorale: Dio è creatore e quindi ha dato anche un fine e i mezzi per realizzare la sua creazione.
Entrò in diocesi quel 13 aprile 1930, molto piovosa domenica delle Palme: “vengo senza oro e senza argento ma ciò che posseggo tutto darò” le sue prime parole al popolo in festa. Si impegnò subito con visite pastorali alle 128 parrocchie della diocesi , 600 i cresimati, in una lettera ringrazia per aver riscontrato una sana fede, buoni costumi, un clero numeroso e preparato, espone alcuni rilievi su mali diffusi. Il magistero episcopale è vastissimo: nel 1937 è celebrato il Congresso eucaristico e nel 1939 il II Sinodo diocesano. Il vescovo Sismondo ha dato vita alla Conferenza di San Vincenzo per la pratica delle opere di misericordia. Ha dato più ampia e decorosa sistemazione all’Orfanotrofio Leone X III, istituzione che curò con paterna dedizione e aiuti concreti, ha ingrandito i locali del Seminario e, nonostante il no secco del ministro fascista Bottai, riuscì ad ottenere l’apertura del Liceo (il ginnasio esisteva parificato dal 1810).
La guerra portò totale sconvolgimento della situazione civile e politica, vennero angoscia, fame, guerra civile, deportazioni. In questo quadro tempestoso il vescovo, minacciato anche di morte e di incendio della città da parte degli occupanti tedeschi, divenne simbolo di unità e di speranza; crollato tutto, fu forza di riferimento e di resistenza, fu presente ovunque a incoraggiare, a protestare, a supplicare aiuti: tutti avevano bisogno di lui. La linea pastorale fu di limpido esercizio del suo senso della carità, il suo stile di vita lo guidò nelle singole situazioni, delle quali lasciò lui stesso testimonianza in una breve memoria e su cui molto è stato scritto; meritò la medaglia d’argento al valor civile concessa dallo Stato, la medaglia d’oro e cittadinanza onoraria offerta da Pontremoli al “pacificatore degli animi, difensore degli oppressi, salvatore della città”. Il dopoguerra portò nuove situazioni difficili e alle sue azioni diede coerenza ancora il suo senso della carità, operando in un clima di pluralismo culturale con forte peso di forze spesso atee o laiciste, si affermavano processi di idee e di costumi secolarizzati e un vuoto di fede e di formazione spirituale.
Il vescovo richiamò il popolo alla devozione mariana col pellegrinaggio in tutte le parrocchie della statua della Madonna nel 1948-‘49, col forte sostegno all’Azione Cattolica, alla buona stampa, con le preghiere nell’Anno Santo 1950 e nella proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria al cielo del 1 novembre 1950. Inviava pensieri profondi di speranza, in vescovado ogni giorno chi aveva bisogno trovava aiuto, nelle visite pastorali di persona si recava nelle case degli orfani di guerra.
Si interessò molto a dare prospettive di spiritualità ai bambini e ai giovani, nel 1950 sorse “Casa nostra” come laboratorio tessile per ragazze, si preoccupò di allestire un campo sportivo, sostenne le ACLI e si impegnò molto per risolvere il dramma della Cementi, contrastò con L’Italcementi che nel 1948 cominciò a licenziare in vista della chiusura dell’azienda, si alzò la voce del vescovo ma rimase inascoltata, solo la trasformazione in cooperativa da parte degli stessi operai per un po’ salvò la fabbrica. Furono accolte le sue dimissioni per motivi di salute, partì non volentieri per il Cottolengo; rimane l’ombra di una domanda: perché i diocesani non seppero trattenerlo?
Maria Luisa Simoncelli