Finita la Prima Guerra Mondiale è difficile ratificare la pace. Si scatenano nuove questioni che porteranno a dittature e nuove guerre. L’Italia inquieta e delusa abbandona il tavolo delle trattative
La Grande Guerra porta uno sconvolgimento totale, i problemi diventano complessi e mondiali. L’Europa, che aveva scatenato la guerra, non ha più il primato economico e di iniziativa politica, passato a Stati Uniti e Giappone. L’agricoltura con rendite decrescenti, difficoltà di riconversione industriale, inflazione che corrode risparmi e rendite fisse, incapacità culturale della classe politica liberale di affrontare il confronto con le masse proletarie ormai organizzate in partiti, le irrisolte questioni nazionali e coloniali sono problemi che come un macigno incidono ovunque, moltissimo in Italia.
Le lotte operaie sono sconfitte dalla “borghesia trionfante” che favorirà il totalitarismo fascista mentre dava l’illusione di decidere in nome e per il bene del popolo. I nodi della particolare e grave crisi seguita alla fine della Grande Guerra in Italia emersero già nei giorni cruciali della Conferenza di pace tenuta a Versailles dal 18 gennaio al 28 giugno 1919 dalle potenze vincitrici (agli sconfitti fu imposto un Diktat senza discussione).
La delegazione italiana, guidata dal presidente del Consiglio Orlando e dal ministro degli Esteri Sonnino, pretese l’annessione di tutta la Dalmazia e di Fiume che nel patto di Londra del 1915 erano escluse: esso, in caso di vittoria, stabiliva che l’Italia avrebbe ricevuto il Trentino, l’Alto Adige fino al Brennero, Trieste, l’Istria e solo la Dalmazia settentrionale fino a Punta Planca e isole antistanti.
Al tavolo della pace vero signore era diventato il presidente degli Stati Uniti Wilson, che non aveva ratificato il patto di Londra, col quale l’Italia era passata all’alleanza dell’Intesa nella Grande Guerra contro gli Imperi Centrali austro-ungherese e tedesco, ed era ostile al nazionalismo italiano.
Egli aveva presentato i famosi 14 punti che riteneva indispensabili per una pace durevole da fondare sul rispetto delle nazionalità e del diritto dei popoli all’autodecisione, alla cooperazione e alla libertà di commercio, riconfermati nella “sua” Società delle Nazioni.
Nell’aprile 1919 ci fu una grave crisi diplomatica tra Italia e Stati Uniti. Wilson accolse le richieste degli jugoslavi di stabilire i confini del loro nuovo Stato su una linea che spartiva in due l’Istria. Con un gesto maldestro e offensivo si rivolse direttamente al popolo italiano per superare le richieste del governo italiano.
Il presidente Orlando aveva ragione, ma non ebbe il sangue freddo per ignorare il gratuito insulto di Wilson restando a trattare, invece abbandonò la Conferenza e tornò a Roma. Fu un errore, quando i delegati italiani tornarono a Parigi nulla cambiò, le colonie dei tedeschi vinti erano già state spartite escludendo l’Italia, erano compromesse le richieste italiane in Medio Oriente in territori del dissolto Impero turco.
La discussione sui nuovi confini orientali dell’Italia divenne un insanabile contrasto anche personale con Wilson e restava non risolto il problema di Fiume. Si scatenò nella maggior parte degli italiani un’eccitazione frustrante che portò al sempre più trionfante mito della ”vittoria mutilata” propagandato dai nazionalisti, dai dannunziani e ben presto dai fascisti.
L’Italia si divideva di nuovo tra democratici sostanzialmente soddisfatti dei risultati raggiunti e imperialisti di destra che miravano a ulteriori conquiste territoriali e coloniali. La divisione tra classi e gruppi sociali sui frutti della vittoria è solo un aspetto di una divisione più profonda tra ceti sociali arricchiti (“pescecani di guerra”) e una maggioranza resa più povera.
In questi mesi seguiti alla Grande Guerra la crisi economica è di grande portata, gigantesco il debito pubblico e il sistema politico è fragilissimo. Gli operai dell’industria, organizzati nei sindacati e animati da prospettive di lotta e anche di rivoluzione su influenza sovietica,ottenevano qualche aumento salariale per affrontare la forte inflazione, invece privi di difesa erano il ceto medio impoverito e contadini e braccianti, che avevano formato la massa dei soldati logorati nelle trincee e dopo la disfatta di Caporetto erano stati lusingati con la promessa di riforma agraria con spartizione dei latifondi che non fu mantenuta.
Un secolo fa c’erano le condizioni per una svolta radicale, purtroppo non fu quella democratica, ma quella totalitaria.
Maria Luisa Simoncelli