
Professore, dirigente scolastico, storico. Direttore del nostro settimanale, dal 1984 al 1999, di cui è stato, fino alla morte, prezioso collaboratore
Può avere una logica se, nel momento dell’impatto traumatico con una perdita, i ricordi tendono ad affastellarsi nella mente, quasi ad impedirti di chiederti se quello che stai vivendo sia qualcosa di reale, oppure, semplicemente una proiezione di un futuro che temi. Nel susseguirsi esasperato delle immagini, una in particolare si è sovrapposta a tutte: il profilo ininterrotto dei monti che si stagliano, all’imbrunire, all’orizzonte della lunga loggia di Toplecca, resi uniformi nelle cromie ormai indistinguibili, per dare una valore ancora più intenso alla luce che si va spegnendo, quasi un invito a ritrovare nell’abbraccio degli amici e nel conforto del calore della casa quel senso di sicurezza che il dissolversi della natura stava diminuendo. Lì, seduti intorno al tavolo di famiglia, reso più minuto dall’imponenza del numero dei presenti, capivi quale fosse il vero senso dell’amicizia e come bastasse poco per ridare il significato dovuto a quella comunanza di intenti che teneva legato il gruppo ormai da tanti anni. Non è un caso, infatti, se nei momenti più significativi di una vicenda ultraquarantennale, proprio la casa di Giulio divenisse il luogo privilegiato delle nostre riflessioni, dell’esigenza di ricaricare le batterie per una ripartenza necessaria per non demordere, per provare a riscrivere pagine di vita che meritavano di non essere cancellate, per rinsaldare una consuetudine che non aveva bisogno di essere rinnovata, ma che chiedeva solo di sentirsi concreta, palpabile, godibile. Lì, soprattutto, credo di avere conosciuto il meglio di Giulio con la messe di difetti che lo rendevano così prezioso, dall’assillo per il dovere, alla voglia di non lasciare niente di intentato, alle sfide diuturne legate al non viaggiare sugli stessi percorsi politici, al desiderio di confidarsi anche solo per problemi banali, ma così importanti per la vita di tutti i giorni.
Ci hanno legato soprattutto l’amore per la nostra terra, lui figlio della sua valle in ogni frangente, capace di penetrarne i segreti più reconditi per renderla più leggibile, dai primordi delle indagini sulla viabilità medievale, fino ai misteri delle genealogie paesane per capire quale fosse veramente il potenziale di una vallata capace di sostentare per secoli una popolazione fiera ed indomita, indifferente agli umori del tempo, consapevole che il sacrificio valesse la pena pur di non perdere la propria identità. La scuola, prima in cattedra, a violentare bonariamente tante intelligenze in divenire con l’assillo della lingua dei padri, tanto ostica quanto affascinante e, poi, come preside, nei rovelli della burocrazia, a gestire un sistema in continua trasformazione che solo una grande capacità di adattamento era in grado di affrontare senza particolare disagio. Lui, maestro e guida per tanti di noi nel comprendere appieno i misteri di un guazzabuglio, spesso inestricabile, più spesso malleabile solo perché addomesticato dall’istinto di renderlo a portata d’uomo. Il giornale, come lo abbiamo sempre chiamato, oggetto d’amore e di passione al limite dell’inverecondia, gestito sotto la sua responsabilità con un senso della democrazia che diventa difficile comprendere se non se ne godono direttamente gli effetti. Le tante battaglie combattute a suon di parole, molto spesso non condivise, ma accettate, sono state la dichiarazione più palpabile di un’amicizia senza fondo che poteva valere qualche rinuncia se dietro c’era la certezza della voglia di dare il meglio senza secondi fini. Infine, ma certo non ultimo, perché ora le sensazioni ti imbrigliano, un grande affetto che con il passare degli anni percepisci possibile anche nella mancanza di origini comuni, una fratellanza che come tale permetteva scontri al limite del tollerabile, confronti esacerbati senza possibilità di soluzione e, poi, la calma che viene dal guardarsi negli occhi per capire che non c’è niente di così insuperabile che possa dividerti e che ogni tanto vale la pena di aggredirsi per riassaporare il vero piacere dell’amicizia. Non è il momento per entrare nella grandezza dell’uomo perché la commozione la farebbe da padrona. Per ora basta sapere che sarà davvero difficile togliercelo dal cuore perché abbiamo condiviso troppe cose nel corso della nostra vita e nessuna merita di essere trascurata. (l.b.)